L’ipermetropia è quell’ametropia nella quale in condizioni di refrazione statica, i raggi luminosi che provengono da distanza infinita vanno a fuoco dietro la retina in quanto il potere del diottro oculare è troppo scarso rispetto alla lunghezza del bulbo. Perché i raggi rifratti vadano a fuoco sulla retina occorre che il potere del diottro oculare venga aumentato; questo aumento piò essere ottenuto in modo naturale con l’esercizio dell’accomodazione o in modo artificiale anteponendo all’occhio una lente sferica positiva la quale imprime ai raggi luminosi una vergenza positiva supplementare. I raggi luminosi che provengono dagli oggetti che ci circondano sono sempre divergenti; la loro vergenza negativa è quasi nulla quando sono situati a grandi distanze e diventa tanto più forte quanto più sono vicini all’occhio. Essendo l’occhio ipermetrope insufficiente a far convergere sulla retina i raggi paralleli, la sua insufficienza diventa ancora maggiore quando i raggi che incidono sulla cornea sono divergenti. Perciò un occhio ipermetrope che non esercita l’accomodazione forma della immagini sfuocate a tutte le distanze e vede molto peggio gli oggetti a distanza ravvicinata. Una refrazione ipermetropica può essere sostenuta dalla varia combinazione di diversi fattori:
- il bulbo oculare ha un diametro anteroposteriore più corto del normale (ipermetropia assiale);
- la curvatura della cornea e/o del cristallino è inferiore alla norma (ipermetropia da curvatura);
- l’indice di rifrazione della corteccia lenticolare è aumentato e tende ad eguagliare quello del nucleo; le superfici di discontinuità rifrattiva vengono così annullate e il potere del cristallino diminuisce (ipermetropia da indice).
Nell’occhio ipermetrope la messa a fuoco di un oggetto richiede sempre l’esercizio di un accomodazione positiva superiore a quella impiegata dall’emmetrope; la differenza è pari all’entità dell’ipermetropia. Un occhio ipermetrope di 2.5D deve esercitare un accomodazione di 2.5D per osservare un oggetto situato a distanza infinita mentre nella medesima circostanza un occhio emmetrope non esercita alcuna accomodazione; per guardare ad una distanza di 50cm lo stesso occhio ipermetrope dovrà esercitare un supplemento di accomodazione positiva di 2D cioè un totale di 4.5D quando l’occhio emmetrope accomoda solo di 2D. I metodi di refrattometria soggettiva consentono di misurare soltanto l’ipermetropia manifesta e facoltativa ma non quella latente compensata dall’ipertono del muscolo ciliare, la quale può essere rilevata solo dall’oculista mediante istillazione di cicloplegici (atropina), così facendo si può effettuare la rilevazione dell’ipermetropia totale in assenza di accomodazione. Un metodo di refrattometria soggettiva utilizzato per il rilevamento dell’ipermetropia, consiste nell’Annebbiamento. In pratica si rende il soggetto miope mettendogli sull’occhiale di prova per una decina di minuti delle lenti sferiche positive di elevata diottria, così facendo si ottiene un rilassamento del muscolo ciliare e quindi di spostare il punto di fuoco davanti alla retina. Successivamente si incomincia una diminuzione graduale della diottria positiva fin quando il soggetto raggiunge i dieci decimi. Nel cambiare una lente positiva non bisogna mai toglierla dal portalenti prima che vi sia stata inserita quella destinata a sostituirla; a questo punto il valore positivo rimasto sull’occhiale di prova sarà approssimativamente il valore dell’ipermetropia. L’ipermetropia non corretta determina inizialmente la comparsa di sintomi di insufficienza accomodativa (cefalee, dolenzia dei bulbi oculari, facile stancabilità al lavoro da vicino, momentanee eclissi del visus, arrossamento della congiuntiva e dei margini palpebrali, blefarite) e successivamente una diminuzione del visus dapprima da vicino e poi da lontano.